Zales TBD

Blog di sana e robusta risoluzione

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ho dimenticato una cosa in ufficio, cazzo, domani mi serve.

vah, beh, vah, è una bella notte fredda, vado a piedi, una bella passeggiata dopo una cena di merda  ci sta…

mi tengono compagnia per un pezzo di strada un’amico del mio gatto e le campane delle undici, le luminarie di natale ed il campanellino nella tasca. l’ho trovato  nell’ovetto chinder di qualche giorno fa.

vado in uffico, non accendo nemmeno le luci, bastano quelle della strada.

i bar della piazza sono ancora aperti, entro in quello più malfamato, ma più vicino all’ufficio, quello che chiamano “il bar dei trafficanti”, anche se non ho mai capito perchè.

appena entro mi capisco, è pieno di brutte facce, come un qualsiasi mercoledì di paese a quest’ora. al bancone c’è odore di sambuca calda e caffè, il tipo che ho vicino, giacca di pelle, cappellino nero da pescatore e odore di sambuca scadente annesso mi guarda truce, come se fossi il solito pirla bamboccione, ed un pochino lo sono, ricambio lo sguardo truce con una scrollata di spalle e rimetto gli auricolari, ora ci sono i rush.

chiedo un whiskey a caso, poi cambio idea, questa sera voglio un baileys con ghiaccio.

alla piccola televisione a tubo catodico appesa al muro in un’angolo buio si muove un maradona a righe tipico di una videocassetta vecchia, con la casacca del napoli, che dribbla tutti e segna un gol da bacio sul piede. sobbalzano tutti, e sobbalzo anch’io.

tiro fuori il taccuino di cui parlavo il post prima e scrivo questo, sorridendo per l’effetto meta testuale della cosa.

mi siedo ad un tavolino stranamente libero, il barista sta pulendo la macchina del caffè e guarda male tutti quelli che si avvicinano al bancone, qualcuno fuori dal mio punto di vista deva avergli fatto la soltia battuta del cazzo sull’ultimo caffè della serata, leggo il labiale di un vaffanculo, e torno al taccuino.

appena il barista decide che la pulizia della macchina del caffè è sufficiente urla una cosa che non riesco a sentire, coperta da un’assolo di batteria  di neil peart. dalle scale che pensavo portassero alla cucina salgono una ventina di persone, vedo un mazzo di carte passare da una tasca ad’un’altra, sigarette che vengono accese prima di uscire ed accendini che passano di mano in mano.

finisco il mio bicchiere, lascio il ghiaccio, di solito lo sgranocchio con calma, ma è ora di andare, mi rivesto, so che mentre mi rimetto il mio stupidissimo cappello ad occhio qualcuno ridacchia, ma l’ho preso per quello, ed il mio ego sogghigna per il piacere. pago ed esco.

fuori al freddo, la ventina di grugni saliti dalle scale si è spostata sulle panchine in fondo alla piazza per l’ultima sigaretta, mi incammino verso casa, dalla parte opposta, faccio una decina di passi, poi mi ricordo perchè ero entrato al bar.

torno dentro, tolgo gli auricolari, la partita del napoli è immobile, nel bel mezzo di un dribbling, maradona è fermo, spalle all’avversario, i piedi in una posa innaturale, a metà tra il concentrato e l’orgasmo, con la palla in bilico sulla punta del sinistro, e quel sorriso teso stampato in faccia di chi è consapevole del rispettoso disorientamento  della’avversario.

il barista scazzato mi butta lì «che vuoi? stiamo chiudendo!»
«hai del fuoco?»
lui si guarda attorno, in cerca di alternative, ma fuori non c’è nessuno. cerca sotto il bancone, con un gesto elegante del pollice apre uno zippo consumato, mi guarda le mani, fa scintillare la pietrina e sporge la mano fuori dal bancone. con calma cerco il pacchetto morbido, lo avvicino alla bocca, dò un colpo sul fondo e ne prendo una tra i denti, mi avvicino alla fiamma e tiro.
un «Grazie.» soffocato mi esce dai lati della lucky, soffiando il primo sbuffo acre che sa di benzina.

fuori al freddo la ventina di grugni saliti dalle scale si sparpaglia per la piazza, a coppie o terzetti barcollanti e congelati. il fumo delle mezze sigarette si unisce al fiato delle loro ultime chiacchiere della giornata.

sulla via di casa si riavvicina il gatto di prima, questa volta si merita una carezza sulla schiena gelata. quasi mi fa inciampare, poi si blocca, vede chissà cosa e si avvia verso la prossima curiosità.

le canzoni dei rush durano in media sette minuti, non faccio in tempo a sentirne tre e sono già al cancelletto di casa. dentro le luci sono già spente. trovo una bottiglia d’acqua, me la porto appresso, prendo l’alimentatore dalla giacca e attacco il coso da cui sto scrivendo alla corrente.

non volevo andare tornare in ufficio, non volevo accarezzare un gatto, non volevo bere un baileys, non volevo guardare maradona, non volevo scrivere sul taccuino, non volevo scambiare sguardi con gli avventori del bar dei trafficanti, non volevo camminare al freddo, non volevo ascoltare i rush, non volevo scrivere questo.

volevo solo da accendere

 


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