Archi e fiati si alternano in una gara di volume e ritmo, ma non è una sinfonia battagliera, è la piazza di fronte al conservatorio verso il tramonto, con il vento che arriva prima da sinistra, poi da destra.
Le finestre si aprono e si chiudono a seconda delle ore del giorno, in una routine di allievi freddolosi o irruenti, indemoniati o pacati.
A volte si affacciano con il violino al collo, con l’archetto in mano.
Le aule con il pianoforte si riconoscono, sempre con le finestre chiuse. Da una finestra al sole, una testa brizzolata a volte china, poi di colpo sospesa all’indietro, la mano sinistra con le dita che scattano come su un pianoforte immaginario, i polpastrelli che sfiorano leggerissimamente il vetro.
Mentre il sole si abbassa e taglia la facciata con una diagonale di freddo, i suoni e le melodie si affievoliscono, è ora di tornare.
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