Zales TBD

Blog di sana e robusta risoluzione

Cosa avrei detto se…

sono andato in una scuola maschile, interamente. e non per scelta accademica, ma perchè al professionale meccanico (tornitore/fresatore, esame in terza e poi maturità) ci vanno solo gli ometti.

ma alle superiori ho avuto tempo di lavorare in radio, imparare a gestire un palco da grandi live come quello dell’hiroshima M.A., di imparare a combattere, e ad usare una spada.

come i miei compagni, dopo la maturità ero pronto a fiondarmi nel mondo del lavoro, curriculum vuoto pronto. piccole aziende in cerca di polli da infilare in un’apprendistato infinito, 5o6 anni fa ce ne erano a tonnellate, e i miei compagni sono finiti quasi tutti in fabbricehtte, e per un po’ ci sono andato anche io.

la mia vita era dominata dalla voglia di fare materiale, e una volta imparato gli strumenti ho scoperto che il mio cervellino andava oltre i turni di lavoro al tornio, o alla progettazione meccanica al CAD 8 ore al giorno, ma non per scelta estetica, pigrizia o ricchezza.

sapevo di poter fare di più, di poter dare all’universo qualcosa di più del mio sudore e delle mie diottrie.

sono sempre stato un tecnico, con la curiosità sbagliata e malsana verso la tecnica e le tecnologie. mi sono iscritto in uno di quei postacci che chiamano università senza sapere minimamente cosa fosse il design, anzi: cosa davvero fosse il design. non ho mai smesso di lavorare alle presse, non ho mai smesso di usare il tornio, non ho mai smesso di progettare stampi per la lamiera,

alla fine del primo anno di politecnico pensavo: “io tutti questi paroloni e li imparo a memoria, poi appena questi figli di papà vorranno fare qualcosa di vero avranno bisogno di qualcuno che capisca il loro linguaggio da architetti pazzi e io sarò l’unico in grado di farlo”. come mi sbagliavo.

alla fine del secondo anno ero preso dall’ecodesign, dalle differenze semantiche nei sistemi espositivi museali, dalla ricerca del perfetto connubio tra forma e funzione.

alla fine del terzo anno ho scoperto la finezza della grafica per esprimere le mie idee, ho imparato a plasmare la materia virtuale per creare modelli verosimili della realtà o come lo chiamate voi mortali in 3D, ho imparato le tecniche fotografiche, e di costruzione dei set cinematografici, veri e virtuali.

al primo anno fuoricorso ho smesso di lavorare in fabbrichette sgangherate, sono tornato al mondo dello spettacolo, teatro, concerti, manifestazioni, palazzetti, festival, di tutto pur di fare qualcosa di divertente.

ora sono al quinto anno della triennale, ho lavorato un sacco, ho finito le lezioni da seguire, ho perso tutta la stima che avevo verso i miei professori dopo averli visti lavorare, ma devo finire il percorso, quindi se la situazione politica italiana me lo concede mi laureerò il prima possibile.

a settembre ho scritto questa frase per un mio progetto, che non è solo mio, non l’ho nemmeno creato io, ma ci credo molto: “la mission della XXX è ricercare, formare e dare opportunità di esperienza alle giovani eccellenze del territorio”.

sapevo di poter fare di più, di poter dare all’universo qualcosa di più del mio sudore e delle mie diottrie. di sudore e diottrie ne ho perse, ma ho scelto cosa fare per il resto della mia vita, ma non ve lo dirò, è una sorpresa…


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