Zales TBD

Blog di sana e robusta risoluzione

Un pesce

Una volta ho preso un pesce.

Andavamo a pescare in riva al torrente in fondo alla strada per la cava, il Chisola, o dietro le serre, l’Oitana, sperando che non passasse il guardiaparco che solo marco aveva la licenza.

Passavamo interi pomeriggi ad aspettare che succedesse qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Il pasaggio di un jet con la scia. La volpe con i cuccioli. La pinna del luccio. La prima lucciola. Una ruspa viola. Il camioncino dei gelati con la musichetta. La cagna del cacciatore sfregiato. La gatta gravida di Andrea. Anche solo una nuvola a forma di drago dei desideri.

Un pomeriggio di aprile, gli zaini svuotati dalle merendine e la testa piena di peripezie nuove. Lasciavamo le canne appoggiate contro un ramo a Y piantato nella terra molle dell’argine, aspettando, ma nemmeno troppo, che qualcosa abboccasse all’esca di pastone di pane nero, mais crudo tritato, briciole di merendine vecchie, mosche prese dalla conigliera e insetti vecchi della collezione di Marco.

Quella volta ho preso un pesce.
Un piccolo pesciolino guizzante, giallo e grigio, lungo quattro dita del dodicenne cicciottello che ero. Quelle quattro dita della lunghezza del coltellino che puoi portare addosso senza che se ti beccano i carabinieri te lo requisiscono…
Quel pescetto boccheggiava verso di me.
Marco, con fare da vecchio pescatore e nemmeno un pelo di barba, lo ha preso, ha tolto l’amo dalla bocca di quel piccolo cosino guizzante e l’ha ributtato in acqua.

Non ho preso altri pesci, se non una sogliola che si è suicidata contro la mia lenza in un porto imprecisato di cui ricordo solo il venditore di palloni gialli e sandali di plastica trasparenti.

Quel pescetto giallo e argentato di quel pomeriggio di aprile non l’ho mai portato a casa, nemmeno me ne sono mai vantato, non ne abbiamo mai più parlato.

Non so nemmeno come mi sia tornato in mente.

Qualcuno mi ributti in acqua.

Grazie.


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